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Prime Esperienze

La Collega universitaria


di PaoloSC
18.05.2023    |    13.389    |    4 9.8
"Altri tre secondi ed il calore del liquido bollente si trasmise alla nuda pelle..."
La collega universitaria​

Anno Dominis 1970 e rotti. Città del centro Italia, sede di una prestigiosa quanto antica Università.

Studente fuori sede, sfuggito dalla Sapienza per impraticabilità del “campo”, avevo deciso di comune accordo con i miei genitori di spostarmi per proseguire i miei studi in provincia, lontano dalle follie filo-brigatiste dell’Ateneo romano.

Assieme ad un amico anch’egli transfuga, prendemmo in affitto un seminterrato (il mio “tre-pied-sous-terre” piuttosto che un piedaterre) in un moderno palazzetto fuori del centro storico, non lontano a piedi dalla zona universitaria e dal centro storico.
Lì vissi circa tre anni, forse i più belli della mia vita da giovane nerd scapestrato.

Frequentavo i corsi assieme ad una trentina di colleghi dello stesso anno ma, avendo accumulato un po’ di ritardo, preparavo alcuni esami assieme a quelli di un paio di anni più giovani.

Una in particolare, una bella ragazza mora, longilinea, con profondi occhi verdi, gambe spettacolari che terminavano su un culo da favola (il punto di accumulazione situato al centro del primo chakra!) ed un seno auto consistente e delle giuste proporzioni per una taglia 38 alta uno e settanta: la chiamerò Gioia, in memoria delle gioie di cui godemmo.

Inverno del 1970 e rotti +1, un freddissimo marzo.
Freddo come tutti gli inverni di quella cittadina, immersa in una valle tra gli appennini. Non era infrequente svegliarsi con la città imbiancata, e quando veniva giù, sovente l’accumulo era tale da rendere difficoltoso anche il camminare al di fuori delle strade battute dai mezzi sgombraneve.

Stavamo preparando un ostico (per me) esame di matematica applicata alla fisica, ed avevamo deciso di concentrarci nello sforzo finale chiudendoci in casa mia, lontani da distrazioni e dalle chiacchiere dei coinquilini; al massimo, una radiolina AM sintonizzata su RadioMonteCarlo.

Gioia abitava con tre o quattro sue coetanee in un appartamento di tre stanze, soggiorno, bagno e cucina. Le sue coinquiline erano studentesse dell’ISEF e stavano preparando gli esami del secondo anno, anch’esse chiuse in casa. Io avevo invece la fortuna di vivere da solo, in quanto il mio collega aveva rinunciato agli studi ma aveva continuato a pagare la sua quota per l’anno in corso, come da accordi tra genitori.
Avevo pertanto il mio “trepiedsousterre” a mia completa disposizione.
Solitamente la sera facevo tardi, cercando di conciliare la vita da studente con i numerosi impegni “sociali”: la frequentazione del Circolo degli Scacchi (ove si giocava a bridge e a tresette), il pub con pianoforte dove organizzavo e tenevo serate musicali ad alto tenore alcolico assieme ai miei amici romani diplomati al Conservatorio che venivano in provincia una volta a settimana a specializzarsi o ad insegnare, la fotografia - o meglio, lo sviluppo e la stampa delle foto che facevo di giorno a documentazione di eventi, fatti, curiosità e che rivendevo al locale giornale - e , quando raramente capitava, un po’ di sano sesso.

La mattina, pertanto, non mi alzavo prima delle 9. Gioia arrivava, bussava alla finestrella, io le passavo le chiavi, lei entrava in casa, metteva su il caffè mentre io ero in bagno per le abluzioni quotidiane.
Niente di particolare o di notabile, fino a quel giorno.

Mi alzai presto, svegliato dal rumore o meglio, dall’assenza di rumore.
Si, quel silenzio assordante, ovattato, che caratterizza la neve che scende a fiocchi, che imbianca tutto e rende i suoni irreali quasi quanto una camera anecoica.
Erano le sette e mezza appena passate, eppure era ancora buio. O meglio, era grigio. Credevo fosse brutto tempo, mi alzai per aprire la vasistas ed un mucchio di neve cadde in casa. Richiusi di corsa, ma dovetti chinarmi a raccoglierla e ad asciugare per terra.
Uscii di casa per capire, salii la rampa di scale e mi trovai di fronte ad una vista inaspettata: il portone di vetro era per metà abbondante ostruito da un muro di neve alto almeno 80 centimetri. Fuori di casa stavano lavorando di pala alcuni condomini ed abitanti dei palazzi circostanti cercando di liberare almeno i portoni. Al centro della strada, solo una stretta trincea prodotta dal passaggio di più persone che avevano battuto quel piccolo sentiero.

Rientrai in casa per lavarmi, vestirmi ed attrezzarmi da neve. Avevo con me la mia attrezzatura sciistica e tra tute, K-Way, giacche a vento e doposci ero in grado di affrontare quel popo’ di neve.
Aiutai i condomini a spalare un po’ il vialetto di accesso al portone e ne approfittai per togliere un po’ di neve da una delle mie finestrelle per poterla aprire senza dover rischiare una valanga in casa.

Dopo un’ora di lavoro ero sudato fradicio e rientrai a farmi la doccia e a cambiarmi.
Rifeci il letto, spazzai e lavai per terra, misi in ordine il soggiorno e la cucina e misi il caffè sul fuoco.
Dopo qualche minuto sentii bussare alla finestrella, aperta.
“Paolo, sono qui! Mi passi le chiavi?”
Andai di fretta al portone direttamente per aprirlo e mi trovai di fronte Gioia, completamente bagnata dalla testa ai piedi, perché aveva ricominciato a fare neve mista ad acqua e lei non aveva portato l’ombrello.
La feci accomodare in casa, le presi la giacca a vento che era completamente zuppa e le feci togliere le scarpe, anch’esse bagnate, dandole un paio di calzettoni norvegesi.
“Credo che debba prestarmi anche un pullover, sono bagnata anche sotto” mi disse.
In effetti, anche il suo maglioncino a collo alto in lana a coste era zuppo. E così la gamba dei pantaloni ed i piedi.
“Gioia, io credo che dovresti cambiarti” le dissi.
“Si, con cosa?” rispose.
Andai al mio armadio e tirai fuori un pantalone di una tuta ed una felpa oltre ad una t-shirt pulita.
“Tieni, metti queste” le dissi porgendole il cambio.
“Vai in bagno e fatti una doccia calda, almeno ti rimetti in sesto.”
“Posso?”
“Certo! Scusa il caos!” ribattei
“Figurati. Non hai visto il nostro bagno. Stamani non ho potuto fare la doccia perché c’era la fila: stanotte c’erano tre ragazzi oltre alle mie coinquiline, e non ho chiuso occhio! Ma con cosa posso asciugarmi?”
Le diedi un asciugamano pulito, quello di riserva. Non un telo da bagno, ma un asciugamani un po’ più grosso di un normale asciugamani.

Mentre Gioia era in bagno sotto la doccia, andai in cucina per accendere il fuoco sotto la macchinetta del caffè. Mi accorsi però che avevo finito i prosperi e l’accendino BIC non funzionava.
“Gioia, hai un accendino con te?” le chiesi da fuori la porta del bagno.
Non mi rispose.
Bussai forte alla porta e sentii lo scroscio dell’acqua cessare.
“Che c’è Paolo?”
“Hai per caso un accendino con te in borsa?”
“No, ho lasciato le sigarette a casa” rispose.
“Allora esco un momento, arrivo al tabaccaio all’angolo e compro i fiammiferi” le dissi
“Bravo, comprami anche un pacchetto di sigarette”.
“Marlboro?”
“No, MS”.
“OK” ed uscii di casa dopo essermi rivestito da neve.
Aveva ricominciato a nevicare forte, le parti scoperte di asfalto si erano già imbiancate e la temperatura sembrava molto più bassa di prima.
Entrai correndo nel bar tabacchi sgrullando il cappuccio e battendo i piedi.
Presi le sigarette per me e per lei, comprai un paio di accendini ed un paio di scatole di prosperi e mi feci preparare in una busta un paio di cornetti ed un paio di tramezzini.
Pagai, uscii e mi ritrovai in mezzo ad una vera e propria tormenta. Si faceva fatica a vedere dall’altro lato della strada nonostante fossero meno di dieci metri. La neve si infilava dentro al cappuccio e sciogliendosi scivolava giù per il collo. I doposci mi tenevano all’asciutto i piedi ma i pantaloni erano fradici sulle gambe nonostante la loro supposta impermeabilità. Sembrava di essere alla ritirata dell’ARMIR più che in un breve tragitto urbano.

Arrivai a casa e mi resi conto di essere anch’io zuppo.
“Gioia, sono qui” dissi entrando in casa.
“Paolo, dove hai il phon?” mi chiese uscendo dal bagno avvolta sommariamente nel telo che la copriva dal seno a poco sotto l’inguine, i capelli bagnati ed i piedi nelle mie ciabatte da piscina.
Deglutii sorpreso dall’apparizione inattesa, entrai in bagno e aprii l’armadietto dietro la porta, nascosto dal mio accappatoio. Presi l’asciugacapelli, usato forse un paio di volte, e glielo porsi cercando di non guardarla.
“Mi sono fradiciato anch’io. Sta venendo giù come ieri sera” le dissi ma subito fui coperto dal rumore dell’elettrodomestico.

Mi ritirai in camera, ma lasciai per abitudine la porta aperta. Vivendo da solo, non mi facevo questioni per girare nudo per casa. Mi spogliai del tutto, in quanto avevo inumidito pure parte degli slip, aprii il cassetto della biancheria e presi mutande e t-shirt asciutte. Non feci in tempo ad infilarmele che Gioia spense il phon e mi chiese: “Paolo, hai una spazzola da darmi?” e si affacciò alla porta della mia stanza, accanto al bagno.
Si accorse della mia nudità e subito si ritirò.
“Scusa Gioia, stavo cambiandomi, sono bagnato anche sotto”
“Scusa te. Anche le mie mutande sono zuppe!” rispose dal bagno.
Infilai di corsa mutande e t-shirt e uscii fuori.
“Scusami, devo prendere un paio di pantaloni nell’armadio fuori!”
“Sei a casa tua, scusa tu. E poi sei in mutande, niente di grave!”
Entrai in bagno, aprii lo stesso armadietto dell’asciugacapelli e le detti una spazzola che avevo trovato nella mia trousse da bagno dopo un weekend con la mia ex-ragazza; era l’ultimo legame con lei, il suo ultimo tangibile ricordo, che sacrificai in nome di una ipotetica miglior causa.

Entrai quindi in cucina per accendere il gas sotto la moka.
Preparai un vassoio con due tazzine, il piatto con i cornetti e misi i tramezzini in frigo.
Ancora in mutande, uscii dalla cucina per andare all’armadio in corridoio ove avevo i pantaloni da casa, un paio di calzoni di felpa comodi e caldi. Passai davanti alla porta del bagno, leggermente accostata come l’avevo lasciata uscendo. Gettai un occhio e vidi Gioia davanti allo specchi intenta a spazzolarsi i capelli, ancora con l’asciugamano avvolto al torso.
Silenziosamente ritornai in camera, con un evidente principio di erezione provocato più da pensiero che dalla vista.

Senza pensarci troppo, mi sfilai le mutande che mi stringevano e mi comprimevano, feci scorrere su e giù il prepuzio quattro o cinque volte poi, ritornato rapidamente alla realtà dal bussare alla porta, infilai rapidamente i pantaloni ed aprii la porta.
Gioia era lì, ancora in asciugamano, tenuto stretto al seno dal braccio ma lasciato aperto dietro.
“Paolo, dove hai messo il cambio per me?” mi chiese.
Arrossito, ancora eccitato e con il pisello che spingeva in fuori il tessuto stile “paletto tenda”, uscii in corridoio e andai nel soggiorno dove avevo lasciato, proprio di fronte alla porta del bagno, il pacco con t-shirt e pantaloni. Lo presi e glielo passai.
Gioia lo prese con la mano libera e rinculò fino al bagno, poi si girò mostrando per un attimo schiena e sedere nudi e chiuse la porta alle sue spalle.
Fu un attimo per passare da semieretto a 90° a full-steam.
Avevo desiderio di segarmi ma fui immediatamente richiamato alla realtà dal fischio della caffettiera.

Corsi in cucina a spegnere il fuoco un attimo prima che il caffè inondasse i fornelli.

Tirai via la macchinetta del caffè senza usare la presina. Durai tre secondi, poi urlai appoggiando con violenza la macchinetta sull’acquaio. Un getto di caffè bollente uscì dal beccuccio e bagnò prima la maglietta e poi la tuta. Altri tre secondi ed il calore del liquido bollente si trasmise alla nuda pelle.
Fu un attimo.
Mi strappai la maglietta di dosso e poi, abbassai urlando i pantaloni.
Gioia fece immediatamente capolino tirandosi su a sua volta con una mano i pantaloni della tuta mentre si sistemava con l’altra mano la maglietta.

Mi trovò a torso nudo, i pantaloni calati con il pisello, ora del tutto a riposo, di fuori. Ero di spalle e stavo cercando di tamponare con l’acqua fredda la pancia ed il pube.
“Che hai fatto?” mi chiese mentre ero girato
“Mi è caduto addosso il caffè bollente!” urlai quasi piagnucolando
“Fammi vedere!”
Mi girai mentre tiravo su i pantaloni.
Una vistosa macchia rossa campeggiava al centro del torace, dallo stomaco a scendere in verticale verso il pube.
“Dove hai l’olio?” mi chiese.
“Dentro la credenza” risposi.
“Stenditi sul letto, arrivo” mi disse.

Andai in camera da letto, mi stesi dolorante ed abbassai i pantaloni per vedere fino a dove arrivava la scottatura.
Gioia entrò in camera con la bottiglia dell’olio ed un tovagliolo di carta preso dal vassoio dove avevo preparato la colazione.
“Fammi vedere” mi disse mentre si chinava per osservare da vicino.
Imbibì il tovagliolo di olio che fece colare sulla scottatura e poi iniziò delicatamente a spalmarlo scendendo verso il basso.
Senza dirmi nulla, abbassò i pantaloni che mi ero nel frattempo rialzato e scoprì del tutto il pisello che, incurante della situazione, aveva deciso di risollevarsi, quasi dotato di volontà autonoma.
Gioia, incurante della imbarazzante presenza, spalmò l’olio fino al pube.
Poi, preso in mano l’attrezzo, lo spostò e mi chiese: “Qui tutto a posto?”
Mugolai qualcosa tra il “si” ed il “meglio controllare da vicino”, ma fu evidente che la mia collega desiderava controllare di persona la situazione. Iniziò una sega lenta che, con le mani unte, era ancora più delicata.
Poi si avvicinò alla mia bocca e mi baciò.
Risposi alla sua azione con un verso di dolore per avermi toccato la scottatura con la maglietta.
“Scusa, ti ho fatto male?”
“No, è che la maglietta è un po’ ruvida” mi giustificai
Gioia se la sfilò e rimase a seno nudo.
“Così va meglio?” mentre si chinava di nuovo su di me per baciarmi.
“Si” e fui subito impegnato a ricambiare il suo bacio.
Le nostre lingue si aggrovigliavano, si intorcinavano come serpenti. Allungai la mano e l’infilai dentro i pantaloni, accorgendomi che non portava slip. Mi trovai a percorrere un folto cespuglio di peli alla ricerca del bocciolo e della sua fessura che trovai, umida ed accogliente.
Fu un attimo.
Si tolse i pantaloni, sfilò i miei e si mise sopra di me, guidandomi con la mano dentro di lei.
“Non ho il preservativo” le dissi.
“Shhh, prendo la pillola da quando avevo diciott’anni” mi rispose mettendomi un dito sulle labbra.
Un rapido movimento di bacino e fui dentro di lei.
Era stretta, accogliente, calda e bagnata.
Iniziò a muoversi con intensità crescente fino a quando, dopo un po’, fu scossa da tremiti e sentii un caldo liquido scorrere lungo le cosce.
“Siii, dai, ancora!” urlò mentre sferravo gli ultimi colpi.
“Vengo anch’io” le dissi, mentre l’orgasmo mi faceva eiaculare dentro la sua vagina.
Il piacere aveva scatenato la produzione di endorfine che avevano nascosto il dolore della scottatura ma dopo poco dovetti fare i conti con il disagio che mi stava provocando il contatto con la sua pelle.
“Gioia, mi fa male!” le sussurrai mentre le baciavo le labbra.
“Scusami!” e si tolse da sopra di me, stendendosi a pancia in giù al mio fianco. Mi abbracciò e mi baciò dolcemente.
“Era tempo che volevo fare l’amore con te” mi disse.

Continuammo a preparare l’esame che sostenemmo dopo pochi giorni. Lei passò con 30, io mi dovetti accontentare di un magro 24.

Facemmo l’amore l’ultima volta per festeggiare, prima di lasciarci definitivamente.
Gioia aveva deciso di trasferirsi a Pisa per completare gli studi, io sarei partito da lì a poco per l’Accademia Navale.

Ci incontrammo casualmente ad un congresso di ingegneria aerospaziale promossa da una delle aziende big del settore. Io mi interessavo di calcolo parallelo e di simulazione e ero lì in qualità di rappresentante di una nota azienda di servizi IT.

Andammo a cena assieme, ricordammo i bei tempi, l’incidente occorso, i colleghi.
Ci baciammo ma poi, al momento del decidere se continuare o meno la serata in albergo, lei si tirò indietro presa da mille scrupoli.
Ci scambiammo un paio di messaggi, promise che ci saremmo rivisti ma poi la persi di vista.

Rimase il ricordo della grande gioia che ci scambiammo quel giorno.
Grazie, Gioia.
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